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Yellowstone e la moderna frontiera americana di Taylor Sheridan

La recente affermazione della serie tv neo western Yellowstone ha definitivamente sancito il riconoscimento del talento dello sceneggiatore Taylor Sheridan, maestro nel raccogliere la tradizione del cinema western e noir e adattarla alla contemporaneità. Il risultato è rappresentato da una serie tv di grande successo e da alcuni film che hanno saputo guadagnare il meritato plauso di critica e pubblico.

Yellowstone: western, noir e intrighi

La serie tv Yellowstone è stata uno dei più grandi successi televisivi statunitensi degli ultimi due anni. Fin dalle prime puntate datate giugno 2018, il riscontro è stato immediato e gli ascolti, dopo la conclusione della terza serie, sono in costante aumento. I punti di forza di questa serie sono molti. In primis, il cast di altissimo livello, in cui spicca il sempre bravo veterano Kevin Costner, alla guida di un gruppo di attori hollywoodiani di conclamata fama e bravura: Kelly Reilly, Luke Grimes, Wes Bentley e Cole Hauser, solo per citarne alcuni.
Altro punto di forza della serie è la splendida ambientazione rurale e selvaggia del Montana – tra montagne, verdi praterie, e desolate zone disabitate – che fa da sfondo atavico a un plot splendidamente strutturato, in cui Sheridan ha saputo mescolare con sapienza diversi generi e stili, dal western, al noir/poliziesco, con qualche spruzzata di rosa e di trame politico-economiche. A condire questa ricetta perfettamente bilanciata, la giusta dose di violenza, latente durante lo svolgimento della trama ma pronta a deflagrare in alcune sequenze di grande impatto.
L’abilità di Taylor Sheridan appare chiara nel momento in cui alla mescolanza di generi unisce una perfetta amalgama di tradizione e innovazione: il western più moderno (per intenderci da Peckinpah al più recente Costner, come punti di riferimento) viene attualizzato e riferito al presente, concretizzandosi in una lotta di sopravvivenza tra la tradizione, rappresentata nella serie da Costner, e le entità che minacciano il ranch con lo scopo di farne un polo di attrazione turistica, demolendone quindi il fascino naturalistico e l’aspetto più romantico legato al rapporto uomo natura. La secolare tradizione di un mestiere tramandato di generazione in generazione, in lotta con il nauseante vorticare del mondo contemporaneo che crea e distrugge, unicamente in nome del profitto.

Yellowstone Taylor Sheridan

Il cast di “Yellowstone” (foto via: skytg24)

Trame e sottotrame

L’abilità di scrittura di Taylor Sheridan si esprime inoltre nella creazione d’innumerevoli sotto trame che non fanno solo da sfondo all’intreccio principale, ma lo influenzano in una continua evoluzione di temi, motivi e strutture. Il difficile rapporto tra James Dutton/Costner e i suoi figli, le vicende amorose dei protagonisti, le storie personali (solo in apparenza marginali) dei cowboy che lavorano al ranch, le apparentemente casuali sequenze più violente che non hanno la sola funzione di iniettare della sana azione ma contribuiscono allo sviluppo della trama e al forgiare delle personalità di tutti i personaggi. Una ricetta in cui così tanti ingredienti differenti rischierebbero di rendere la pietanza indigesta: il risultato sorprendente è invece un perfetto bilanciamento tra gli elementi.
Da citare, inoltre, il rapporto conflittuale tra Dutton e Rainwater, (interpretato dal bravissimo Gil Birmingham) capo della riserva indiana che confina con il ranch di proprietà della famiglia Dutton. Rainwater vorrebbe impossessarsi dei pascoli dei Dutton per espandere la riserva, vendicando in qualche modo i torti subiti dai suoi antenati. Ritorna quindi il classico tema, tanto caro alla tradizione Western, dello scontro tra uomini bianchi e nativi americani.
Tuttavia, Taylor Sheridan attualizza questa lotta secolare e la contestualizza al presente. Rainwater è un ricco uomo d’affari profondamente legato alla tradizione del suo popolo ma consapevole dei meccanismi che regolano la società moderna e non esiterà, in alcuni frangenti, a fare fronte comune con il nemico Dutton, contro spietati e ancor più pericolosi nemici esterni. Ancora una volta quindi, Taylor Sheridan contestualizza la tradizione al presente, donandole sfaccettature nuove, inedite e innovative.

La poetica di Taylor Sheridan

Yellowstone rappresenta l’apice della carriera di sceneggiatore di Taylor Sheridan. Tuttavia, le sue abilità erano già apparse chiare in alcuni film da lui scritti e, in alcuni casi diretti in prima persona. Primo in ordine cronologico è Sicario (2015), magistrale thriller la cui trama ruota attorno al narcotraffico sul confine messicano: un elettrizzante poliziesco d’azione con protagonisti una sorprendente Emily Blunt, un sempre bravo Josh Brolin e un magnifico Benicio del Toro, in uno dei ruoli migliori della sua carriera, ripresentato poi nel ben riuscito sequel Soldado (2018). Tuttavia, le capacità di scrittura di Taylor Sheridan si sono espresse al massimo nell’accoppiata Hell or High Water e I segreti di Wind River, datati rispettivamente 2016 e 2017.

Hell or High Water: rapine e sangue nel profondo Texas
Taylor Sheridan

La locandina di “Hell or high water” (foto via: en.wikipedia.org)

I fratelli Toby e Tanner organizzano una serie di rapine in alcune filiali della Texas Midlands Bank per racimolare i soldi necessari per mantenere il ranch di famiglia. Il nemico è rappresentato dalle banche: non saldare il mutuo entro pochi giorni significherebbe perdere il ranch di famiglia (nel cui sottosuolo è stato trovato un giacimento di petrolio) e non garantire un futuro ai figli di Toby. Una serrata caccia all’uomo viene organizzata dall’anziano Texas Ranger Marcus Hamilton (il monumentale Jeff Bridges), in un crescendo di tensione e azione che culmina con il lungo inseguimento conclusivo.
Il finale è amaro: tutti hanno in qualche modo riportato la propria vittoria personale, ma solo a fronte di un pesante sacrificio umano e spirituale. Un neo western amaro e disperato, profondamente inserito nella tradizione del genere ma al tempo stesso al passo con i cambiamenti del mondo: una pellicola solo in apparenza d’altri tempi che ha rivitalizzato un genere decaduto, liberandolo da alcuni cliché obsoleti e dandogli nuova linfa.

I segreti di Wind River

Durante il freddo inverno del Wyoming, l’agente-cacciatore della forestale Cory Lambert (uno splendido Jeremy Renner) scopre nella neve il corpo senza vita di una giovane nativa. La ragazza, senza scarpe né abbigliamento adeguato, ha l’inguine macchiato di sangue, segno di uno stupro precedente alla morte per assideramento. Sul posto arriva per indagare la giovane agente dell’FBI Jane Banner (Elizabeth Olsen) che recluterà per le indagini lo stesso Lambert, forte della sua conoscenza del territorio. Al di là della trama, anche in questo caso molto ben strutturata, Wind River brilla per la caratterizzazione dei personaggi, su tutti il duro taciturno “giustiziere” Jeremy Renner, e per le tematiche tanto care a Taylor Sheridan: le discriminazioni nei confronti dei nativi americani, il ruolo della donna nella società contemporanea, la difficoltà di venire a patti con i propri errori e il proprio passato, magistralmente evocata dal solitario Lambert, e infine la natura selvaggia, protagonista onnipresente delle opere partorite dalla mente di Taylor Sheridan.

Taylor Sheridan

Jeremy Renner ne “I segreti di Wind River” (foto via: movieplayer.it)

Natura vs modernità: tradizione ed evoluzione

Taylor Sheridan ha saputo creare un personalissimo linguaggio cinematografico che ha attinto a piene mani dalla miglior tradizione del Western, del noir e del crime, contestualizzandoli all’evoluzione della società contemporanea. Un linguaggio ancestrale, spietato, cupo, in cui gli eroi vincono solo parzialmente, perché ogni vittoria è bilanciata da una sconfitta. Il trionfo del bene non riesce mai a concretizzarsi appieno e i protagonisti, nonostante si presentino come dei moderni e dotati outlaws, paladini di valori e virtù impegnati in una lotta all’ultimo sangue contro i mali della società contemporanea, risultano delle piccole pedine all’interno di un disegno molto più grande, che governa il mondo e i suoi abitanti: la natura selvaggia, presente in tutte le opere di Taylor Sheridan appare in definitiva, oltre che la grande protagonista, l’elemento dominante con il quale fare i conti e dal quale non si può sfuggire.

Alberto Staiz

 

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