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Blade Runner: 2049. Abbiamo aspettato, ce lo aspettavamo?

Devo ammettere che per scrivere questa recensione ho dovuto lasciar passare del tempo. Trovare l’obiettività tra le varie sensazioni che lascia questa pellicola è davvero difficile. Blade Runner Harrison Ford Westville News Blog
Blade Runner, l’originale, è uno di quei film che le persone della mia generazione hanno imparato ad amare da bambini, ma hanno capito solo da grandi. Non ricordo quanti anni avessi, ma ero piccolo, troppo piccolo per capire la profondità di un neo-noir così visuale e visionario. Tuttavia ero abbastanza grande da rimanere affascinato dagli elementi distintivi. Il caos di una Los Angeles, fino a quel momento vista in film patinati e pomposi, mai denigrata così tanto. Blade Runner era affascinante e spaventoso, personaggi grotteschi, androidi, e soprattutto i volti iconici di Harrison Ford e Rutger Hauer. Ero abituato a vedere Ford sempre con aria strafottente nelle incredibili pellicole di Guerre Stellari. Oppure ero stato colpito dall’ironia divertente di Indiana Jones, nelle sue avventure. Non era stato per niente facile assimilare il cacciatore di taglie Rick Deckard, solitario e pragmatico.
Blade Runner è stato uno di quei film capaci di surclassare l’opera principale, Il cacciatore di Androidi di Philip K. Dick. Non fraintendetemi, non penso affatto che il film sia superiore al romanzo, ma sono diventati complementari. Che in una visione come quella di Dick, l’arte audio-visiva di Ridley Scott di quegli anni, ha donato quel qualcosa in più, che nessuno si aspettava?

Blade Runner 2049: finalmente un sequel

Pro che possono essere contro, e contro che possono essere pro: questo è Blade Runner 2049

Finalmente un sequel. Lo affermo, e mi piace dirlo, perché gli ultimi tempi si sono dimostrati un po’ duri per le produzioni cinematografiche. Malgrado il proliferare di film a più non posso, il comparto di sceneggiatori di Hollywood sembra davvero in crisi. Idee scarse, sviluppate male, e soprattutto reboot e remake… reboot e remake ovunque. Non c’è pace per i grandi titoli del passato, che vengono sempre più spesso ripresi, rimaneggiati, stravolti e affondati in clamorosi flop artistici e commerciali. Si prenda esempio da Atto di Forza, che malgrado lo sforzo per raggiungere un incasso accettabile non ha saputo nemmeno avvicinarsi all’originale, in termini di qualità. Robocop? un atteso reboot… che non ha raggiunto la sufficienza.
Quello che davvero è godibile di Blade Runner 2049 è proprio il modo in cui è stato trattato. Non è solo un prodotto commerciale, ma è un’opera audio visiva. Il film non è basato sugli effetti speciali, che sono comunque incredibili e affascinanti, ma si regge sul fatto che la CGI è il contorno – indispensabile – per immergere una storia, un concetto. In secondo luogo siamo di fronte a un vero e proprio sequel. Non è un reboot, non hanno eliminato parti, non hanno stravolto un universo per adattarlo commercialmente agli spettatori odierni. Il mondo di Blade Runner è sempre lo stesso, le tematiche anche. Però è anche vero che sono passati trent’anni, e le cose sono cambiate, analogamente come sono cambiate nel nostro mondo, dal 1982 ad oggi. Per cui si potrebbe pensare che il goal più riuscito sia proprio quello di aver tenuto un universo vivo, anche nel progredire delle ere, e delle ideologie fantasiose della storia originale. Come spiega lo stesso regista (Denis Villeneuve) al New York Times in questo articolo, “… Il primo film era ambientato nel 2019 e come sapete, ora non ci sono macchine volanti nel cielo. Non c’è Steve Jobs nel primo Blade Runner. Non ci sono cellulari. Quindi abbiamo creato davvero il futuro del primo Blade Runner”.
Ma quindi il lavoro dei grafici è superficiale e di poco conto? Assolutamente no! Il visual concept di Blade Runner 2049 è davvero pazzesco, e vive di arte pura. Per capire meglio la grandezza dell’idea alla base, in questo articolo, viene spiegato come Peter Popken, il concept artist di questa pellicola, abbia gradito il lavoro di alcuni architetti di uno studio italo-spagnolo. Questo fa pensare che il comparto tecnico-artistico di questo film non si sia proprio afflosciato sull’aspetto commerciale della produzione, ma sia andato alla ricerca di una espressione artistica.

Blade Runner 2049 Westville NEws Blog Peter PopkenCast

Spesso capita che pellicole acclamate siano accompagnate da un cast ragguardevole. Questo è sicuramente il caso di Blade Runner 2049. Ormai Harrison Ford non è solo conclamato, ma ha saputo affrontare il salto generazionale con un aiuto in più, rispetto ad alcuni dei suoi colleghi più o meno della stessa epoca. Avendo come base dei personaggi più longevi, e fantasiosi, rispetto ad altre icone degli ’80s, ha avuto modo di cavalcare una seconda grande onda di successo, rispetto ad altri (ad esempio Kevin Costner). Ma la sua interpretazione in Blad Runner 2049 ci basta? Sicuramente è stata magistrale, ma ci sarebbe piaciuto avere il suo sguardo torvo qualche minuto in più sullo schermo, in un film che dura ben 2 ore e 44 minuti.

Lo stesso ragionamento, preso da un’altra angolazione, lo dobbiamo fare su Jared Leto. Il poliedrico artista ha già dato diverse prove delle sue capacità d’attore, una fra tutte in Dallas Buyers Club. Ma la presenza di Leto è davvero ridotta, limitata a poche scene, troppo sintetiche. Rimane il dispiacere di aver goduto poco della sua recitazione, in un personaggio che poteva anche calzare a pennello, se solo ci fosse stato il tempo di dimostrarlo. In generale è stato difficile legare alla storia Niander Wallace, il personaggio di Leto, che è sembrato un pretesto per raccontare una parte di trama non detta, che a figurare come un vero e proprio villain.

La maggior parte della trama è giustamente legata al personaggio di Ryan Gosling, ma talvolta il personaggio stesso sembra slegato dalla storia principale. Si percepisce che ci sono due indagini, la prima riguarda gli ultimi modelli di nexus, ancora in circolazione, la seconda quella interiore del personaggio. L’agente K, il protagonista, è alla ricerca di una sua identità, essendo esso stesso un replicante, che da la caccia ai vecchi replicanti da eliminare. Ma talvolta si perde la bussola, e si fatica a capire se l’indagine privata e introspettiva dell’agente K sia il pretesto per allungare il film, o sia effettivamente l’argomento principale, relegando l’antagonista a poche scene, giusto per dare qualche spiegazione di una trama già complessa di suo. Il volto più presente sullo schermo è sicuramente quello di Gosling, che come attore drammatico è attualmente una delle migliori proposte del cinema mondiale. La sua interpretazione è magistrale e sapiente, e supera la difficoltà del recitare in una pellicola che è sapientemente alla stregua di un film muto. Tuttavia sembra anche Gosling messo nella situazione di non poter esprimere al 100% il suo potenziale, relegato in un personaggio che interagisce poco col mondo circostante.

Una nota di merito va al Wrestler Dave Bautista, che meritevole di avere delle ottime doti da attore, da prova di essere all’altezza di un personaggio chiave.

Qui potete ascoltare un’intervista di Wired ai due attori i cui volti hanno caratterizzato questo franchise di successo.

Produzione

Tutto il comparto tecnico del film ha dato prova di essere ineccepibile. La fotografia è molto curata, ma non così maniacale da risultare cervellotica. Il punto forte è decisamente la concept art della pellicola, che riesce a prendere l’originale Blade Runner, e proiettarlo trentanni avanti nel futuro. Anche la regia di Villeneuve si dimostra solida, e riesce a riempire bene alcuni momenti meno interessanti ai fini della storia. La produzione di Ridley Scott si afferma come vincente, e porta a casa un successo che forse dovrebbe rimanere intoccato, anche con i suoi difetti. Ma come tutte le opere di fantascienza – e non solo – che si rispettano, si sente la necessità di espandere l’universo in cui le storie sono contenute.

La Warner Bros, in collaborazione con Denis Villeneuve, hanno chiesto ad alcuni filmmakers di girare tre cortometraggi che accompagnassero lo spettatore dal 2019 al 2049, mostrando alcuni fatti citati nel film.

Il primo è stato scritto e diretto dall’animatore giapponese Shinichiro Watanabe, già ferrato sul tema della fantascienza grazie alla sua opera più famosa: Cowboy Bebop. La storia animata introduce gli avvenimenti del 2022 che porteranno al bando di tutti i modelli Nexus, dopo il fallimento della Tyrell Corporation.

Il secondo cortometraggio viene diretto da Luke Scott. Il filmmaker inglese ci porta nel 2036 durante l’ascesa di Niander Wallace, che dopo anni dal Blackout vuole riportare in auge i Nexus, con una sua particolare visione. In questo corto esce tutto il potenziale di Leto, nel personaggio di Wallace, che pur restando fermo su una sedia, e parlando pacificamente, riesce a inquietare e spaventare interlocutori e pubblico.

Il terzo e ultimo cortometraggio è stato diretto sempre da Luke Scott, già impiegato in altri titoli diretti o prodotti da Ridley Scott. Il corto vede come protagonista Sapper Morton, che comparirà poi anche nel film, interpretato magistralmente da un sempre più sorprendete Dave Bautista (ex Wrestler). La storia è ambientata un anno prima dell’inizio del film, e spiega come il replicante sia stato trovato dall’agente K.

Piccola curiosità: il detective Ronald Prima di Westville è proprio basato sulla drammaticità dei ruoli di Ryan Gosling. 

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